Cos’è la supply-side economics?
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La supply-side economics... Fin dalla sua introduzione negli anni 70, discutere dei suoi meriti, o della mancanza di essi, è stato uno dei punti cruciali dei dibattiti politici e la valutazione che ne viene data differenzia, in modo netto, i Repubblicani dai Democratici negli USA e i Tory dai Labour nel Regno Unito. Questa teoria ha plasmato non solo una prospettiva economica, ma anche una visione del mondo.
La sua unicità consiste nel presupporre che sia la produzione, e non la domanda, il fattore più importante nel creare e sostenere la crescita economica. Per facilitare la produzione, i suoi fautori si battono per una riduzione delle tasse e l’eliminazione della maggior parte delle regolamentazioni, sostenendo che una riduzione delle tasse comporti un incremento dei profitti per le imprese che, non più frenate da una miriade di regolamenti e ostacoli burocratici, diventano libere di reinvestire i ricavi ottenuti generando un incremento nella produzione di beni e creando più posti di lavoro. Come risultato l’economia cresce, e la riduzione delle tasse porta un vantaggio per tutta la società.
La redistribuzione della ricchezza mediante questo meccanismo, ovvero creando condizioni vantaggiose per le imprese e permettendo alla ricchezza di “diffondersi verso il basso a tutti i livelli della società”, viene considerato un sistema meritocratico, che assicura un’efficienza e un’equità che gli interventi statali non sono in grado di raggiungere. Questa convinzione è l’opposto del keynesianesimo, che, prevedendo fluttuazioni nella domanda aggregata e inefficienze nell’economia di mercato, promuove la necessità di avere un governo attivo, che interviene nel settore dell’economia, utilizzando stimoli fiscali e monetari per gestire le fasi di instabilità.
Reaganomics e l’emergere del supply-side
Utilizzato come modello economico di riferimento a partire dalla Grande Depressione, il keynesianesimo iniziò a perdere sostenitori negli anni 70, visto che faticava nel risolvere i problemi di contrazione della crescita unita a un incremento dell’inflazione, un fenomeno noto come stagflazione, che affliggeva molte delle economie avanzate in quel periodo. Cogliendo l'opportunità che si era presentata, i neoliberali in varie parti del mondo, iniziarono a sostenere i principi dell’economia supply-side come risposta al problema. La nuova teoria divenne il principio chiave del famoso “Reaganomics”, il modello economico supportato dal popolare presidente americano, ex-attore, Ronald Reagan e da allora è rimasta in auge, nonostante le critiche e le controversie che la circondano. Come ha illustrato il giornalista Bill Flax, “il concetto che ridurre le tasse si traduce, in ultima analisi, in un incremento del gettito fiscale aveva fatto il giro del mondo, e questo principio era stato applicato nelle zone più diverse, come l’area Euro, la Russia, l’India e la Cina".
I suoi fondamenti teorici e la sua apparente autorevolezza derivano dalla famosa “Curva di Laffer”, un grafico attribuito all’economista conservatore e populista Arthur Laffer. La leggenda di Laffer inizia nel 1974, dopo un incontro avvenuto nel tardo pomeriggio al ristorante “Two Continents”, nella città di Washington, negli Stati Uniti. Era stavo convocato alla riunione da due consulenti senior del governo, Donald Rumsfeld e Dick Cheney, che non erano d’accordo sulla proposta del presidente Ford di aumentare le tasse allo scopo di ridurre il deficit, fuori controllo. È stato in questo ristorante, sotto lo sguardo attento e interessato di queste figure di spicco del partito Repubblicano, che, secondo la leggenda, Laffer ha delineato la sua visione economica letteralmente su un tovagliolo di carta. Con pochi tratti di penna su un tovagliolo macchiato di caffè, aveva riassunto la complessità del sistema fiscale in un piccolo grafico, introducendo la curva per cui sarebbe diventato famoso. Nonostante le inevitabili imprecisioni, dopotutto il luogo non si prestava a riflessioni teorico-matematiche avanzate, la sua teoria aveva colpito gli altri partecipanti e Cheney, in special modo, ne era rimasto assolutamente entusiasta. Il sostegno dei due consulenti portò alla cancellazione delle proposte di Ford e la teoria divenne la base della politica economica del partito Repubblicano. Al tempo dell’ascesa di Reagan al centro della scena politica era, di fatto, l’ortodossia economica.
La curva promette di determinare la relazione tra i livelli di imposizione fiscale e le entrate del governo. A un’estremità, la pressione fiscale è dello 0%, e il gettito fiscale è pari zero. Questo non stupisce nessuno. All’altra estremità, dove la pressione fiscale è del 100%, analogamente il gettito fiscale diventa zero, presupponendo che le persone smetterebbero di lavorare se non avessero più, di fatto, uno stipendio dopo aver pagato le tasse. La parte più interessante della curva è quella a U capovolta, nella parte centrale. Laffer sostiene l’esistenza di un “punto critico” nel livello di tasse a partire dal quale l’incentivo a lavorare di più e a investire, inizia rapidamente a scendere. Riassumendo il suo modello, già di per sé semplificato, Leffer aveva affermato: “Imponete tasse elevate su qualcosa e incasserete meno. Riducete le tasse e incasserete di più”.
Come modello, la curva ha in realtà un’utilità più teorica che pratica. La determinazione di questo “punto critico” è rimasta sempre vaga e non specifica, e questa imprecisione si è rivelata uno dei fattori che hanno contribuito al successo del modello. Nelle mani dei governi che intendono tagliare le tasse, il punto critico viene spostato di volta in volta, per “giustificare” le riduzioni e dimostrare che la riduzione degli incassi fiscali verrà compensata da un aumento della crescita. Le grandi imprese sono, da sempre, sostenitrici ardenti dell’idea, dato che conoscono bene i grandi vantaggi che ricevono dalla “versatilità” della curva. È più complicato comprendere il supporto che questa teoria riceve ancora dal partito Repubblicano di fronte a molteplici prove evidenti della sua inefficacia. È difficile dire se questo avvenga perché esiste una genuina convinzione che sia una teoria in grado di funzionare o se venga utilizzata come copertura intellettuale di interessi più oscuri.
Fallimenti ripetuti
Le prove del fatto che questa teoria non funzioni sono evidenti. I tagli alle tasse che il governo degli Stati Uniti ha effettuato negli ultimi 40 anni non hanno aumentato gli incassi fiscali, come si può capire anche solo dando un’occhiata superficiale a quanto accaduto. I tagli severi di Reagan hanno avuto come conseguenza la crescita incontrollata del debito nazionale, e, anche se si è assistito a un boom dell’economia nella metà degli 80 dopo la precedente recessione, per la maggior parte degli americani non si è verificato un miglioramento delle condizioni economiche. Al contrario, l’aumento della ricchezza si è concentrato al vertice della piramide sociale e le disuguaglianze sono aumentate. Al termine del suo governo, e dopo quasi un decennio di applicazione della sua politica economica, il reddito della classe media era lo stesso di 10 anni prima, i tassi di povertà erano cresciuti e non si era assistito a una crescita della produttività.
George W. Bush aveva iniziato la sua presidenza in modo simile, introducendo sgravi fiscali per i più ricchi con la promessa che tutti ne avrebbero beneficato e che la loro maggiore ricchezza si sarebbe riversata sui ceti meno abbienti. Anziché propagarsi agli strati più bassi della piramide sociale, il denaro ha continuato a fluire verso l’alto e nel 2005 l’1% più ricco della popolazione poteva vantare un reddito, al netto delle tasse, dell’80% maggiore di quanto registrato nel 1979; ovvero un incremento di 10 volte superiore a quanto avvenuto per il 25% più povero della popolazione. Al termine dei suoi 4 anni di presidenza, i salari erano cresciuti nettamente meno dell’inflazione, gli standard di vita non erano aumentati e i tassi di occupazione erano in calo: un contrasto netto con la crescita avvenuta durante la presidenza Clinton. L’ottimismo degli anni 90 era definitivamente morto e sepolto.
Stessi attori, stesse idee
L’amministrazione Obama aveva proceduto, con cautela, nella direzione di ribilanciare il carico fiscale, e le stime suggerivano che l’1% più ricco della popolazione aveva pagato in tasse nel 2013 più di quanto avesse fatto nel 1980. Questa situazione è cambiata rapidamente. Tutti i progressi che erano stati compiuti sono stati velocemente cancellati quando, nel 2017, Trump ha introdotto tagli fiscali generalizzati il cui costo è stimato in 6,2 triliardi di dollari USA in appena 10 anni. Secondo l’economista Paul Krugman, i tagli includevano “una riduzione del livello più alto di imposizione fiscale, una riduzione delle tasse per le imprese e l’eliminazione delle tasse sulle proprietà”. Secondo il suo parere i tagli avrebbero “avvantaggiato particolarmente i più ricchi, specialmente l’1% più ricco”. Queste riduzioni fiscali hanno causato l’incremento più elevato del debito pubblico rispetto a qualsiasi altra iniziativa simile intrapresa in passato, innescando timori di tagli ai servizi sociali offerti dallo Stato e all’assistenza sanitaria Medicare su cui molti fanno affidamento.
Anche se la maggior parte degli economisti si battono con forza contro la supply-side economics, essa rimane, inesplicabilmente, influente e un elemento di base della più grande economia mondiale. Va sottolineato come la sua applicazione, da parte di Trump, non sia frutto di un’opinione personale. Il sostegno a questa teoria economica è il collante che tiene unito il partito Repubblicano. Questo partito, che storicamente si è sempre vantato della sua pragmaticità, sembra essere diventato impermeabile all’evidenza dei dati reali. Come si suol dire, continuare a fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi è segno di follia. Questo fa nascere spontanea la domanda: cosa pensa, questo partito, possa cambiare a livello di risultati? La risposta non è chiara, ma nel frattempo la saga dell’economia supply-side continua.
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