Economia austriaca: contributi storici e moderni

Scuole di pensiero economico

Economia austriaca: contributi storici e moderni

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Ci sono molte scuole di pensiero in economia. Ognuna di esse promuove una, o più, teorie su come funziona la società, e sviluppa modelli per supportare queste teorie e spiegare il mondo economico e finanziario. Alcune di queste scuole sono la neoclassica, la neo-Keynesiana, quella monetarista e quella di Chicago. Alcuni potrebbero avere familiarità anche con la scuola di pensiero austriaca. 

Le scuole sono “ideologicamente” separate; tuttavia la maggior parte degli economisti moderni applicano un mix delle diverse teorie e, anche se si considerano appartenere a una determinata scuola di pensiero economico, non hanno problemi ad utilizzare elementi di una scuola diversa.

Questo articolo si concentra sull’ultima scuola di pensiero tra quelle elencate in precedenza, che è realmente unica rispetto alle altre. La scuola di pensiero economica austriaca viene considerata “eterodossa” o non convenzionale. Alcuni economisti moderni non la considerano nemmeno come una scuola legittima. Questo articolo fornisce una breve storia di essa, del suo contributo alle teorie economiche moderne e delle ragioni per le quali non viene più considerata “ortodossa”. In ultimo forniremo un avvertimento contro gli eccessi del suo utilizzo.

Definizione dell'economia austriaca

Per un economista austriaco, l’economia riguarda le scelte dei singoli individui compiute in base alle loro preferenze, in altre parole il comportamento umano (o la “prasseologia” come gli studiosi austriaci amano definire il fenomeno). Gli economisti austriaci spesso sono preoccupati delle conseguenze indesiderate di queste scelte individuali, che hanno un effetto duraturo sull’attività economica.

In virtù del concetto di conseguenze non intenzionali, gli economisti austriaci sostengono l'idea che le istituzioni economiche si formino in modo non intenzionale e inefficiente, come risultato delle decisioni e delle azioni dei singoli agenti. Secondo questo punto di vista, i sistemi economici che applichiamo non sono progettati da una sola persona, ma sono un sottoprodotto delle azioni che gli individui intraprendono per il proprio interesse.

Inoltre, visto che questi sistemi non sono stati progettati con uno scopo preciso e dato che è impossibile conoscere le preferenze e le scelte di ogni individuo, gli economisti austriaci ritengono che le attività e le iniziative dei governi siano, per lo più, dannose. In questo, concordando con gli economisti classici che ritengono che gli interventi governativi siano, nella migliore della ipotesi, neutrali.

Ciò detto, gli economisti della scuola austriaca si trovano in disaccordo con gli economisti classici su molti altri concetti chiave; gli economisti tradizionali ritengono che il denaro sia neutrale, mentre gli economisti austriaci, in modo simile a quanto fanno i monetaristi, pensano che non lo sia affatto.

Al giorno d’oggi i pensatori austriaci si dividono in due campi, con due diverse figure storiche come guida. Uno dei due campi segue le teorie illustrate in precedenza, è totalmente contrario agli interventi in economia del governo e respinge la maggior parte delle teorie economiche neoclassiche. Le teorie prese come riferimento sono quelle di Ludwig von Mises e Murray Rothbard. L’altro campo è meno intransigente relativamente a questi concetti e non è sempre contrario agli interventi dei governi, anche se non li propugna come invece fanno gli economisti neo-keynesiani. Gli economisti austriaci che si riconoscono in questo campo accettano degli elementi dell’economia neoclassica, invece di rifiutarli integralmente, e seguono il pensiero di Friedrich Hayek, vincitore del premio Nobel dell’economia del 1974 per i suoi contributi alla “teoria della moneta e delle fluttuazioni economiche” insieme a Gunnar Myrdal. 

Gli economisti austriaci ritengono che la verità nel settore dell’economia può essere raggiunta conducendo “esperimenti ragionati” che non devono necessariamente basarsi su dati. Per postulare le teorie vengono utilizzati logica e ragionamento. Gli economisti austriaci, di conseguenza, tendono a minimizzare l’importanza dell’econometria (o a respingerla totalmente) e dei dati in economia, dato che molti di essi ritengono che i comportamenti umani non possano essere descritti in modo realistico attraverso modelli matematici come molte teorie economiche ortodosse tentano di fare.

Busts of philosophers.

Image credit: Pixabay.

 Nell’era moderna, queste convinzioni si pongono in netto contrasto con le teorie economiche ortodosse e più comunemente accettate, per le quali l’evidenza empirica e le competenze quantitative sono considerate fondamentali per validare, o discreditare, teorie e modelli economici. Le ricerche accademiche moderne pongono enfasi nel formulare ipotesi verificabili e analisi quantitative a supporto delle teorie, per cui queste competenze rimangono fondamentali per gli economisti che ambiscono a pubblicare articoli nelle riviste più importanti. Questo cambiamento è relativamente recente, dato che gli economisti hanno iniziato a spostarsi sempre di più verso i metodi econometrici a partire dalla metà del ventesimo secolo. Fino ad allora molti dei metodi degli economisti erano simili a quelli della scuola austriaca.

Di recente gli economisti austriaci hanno iniziato a rifiutare alcune delle teorie e dei concetti economici che sono comunemente accettati, aumentando ulteriormente il divario ideologico tra le scuole di pensiero. Ad esempio, molti pensatori austriaci rifiutano l’idea che il mercato possa essere inefficiente, mentre la maggior parte degli economisti “tradizionali” ritengono che fattori esterni, asimmetria informativa e altri elementi possono rendere i mercati inefficienti (anche se poi si trovano in disaccordo su quali siano gli interventi migliori per risolvere il problema, o se questo sia persino possibile).

Al giorno d’oggi  la maggior parte degli economisti professionisti si considerano non-austriaci e ritengono, nella migliore delle ipotesi, che gli economisti austriaci seguano teorie errate.  L’economista Leland Yeager ha scritto che critica fortemente, negli economisti austriaci, il “...soggettivismo esasperato nella teoria dei valori e in special modo nella teoria dei tassi di interesse, la loro insistenza nella causalità monodirezionale anziché nella interdipendenza generale e la loro predilezione per complicazioni metodologiche, approfondimenti inutili e ginnastica verbale"1.

In modo analogo, l’economista Paul A. Samuelson ha affermato che “...in economia c’era l’abitudine di fare affermazioni basate solamente sul potere della deduzione e sui ragionamenti a priori…Per fortuna, ora tutto questo appartiene al passato.”2 Ciò detto, questo gap ideologico non è sempre stato così ampio.

L’inizio della scuola austriaca di economia

Normalmente si fa corrispondere l’inizio della scuola austriaca di economia alla pubblicazione, avvenuta nell’1871, del lavoro di Carl Menger “Principi di economia politica”. Nel libro viene avanzata l’idea che è la logica delle scelte individuali, anche quando queste scelte sono unicamente umane e non “economicamente razionali”, che dovrebbe formare le base dell’analisi economica.

Comunque, anche se è considerato il fondatore della scuola austriaca, Menger non si poneva in contrasto con gli economisti tradizionali del tempo, né veniva da essi osteggiato. Aveva dedicato la sua opera fondamentale a un famoso economista tedesco (William Roscher), che, in quel tempo, apparteneva alla dottrina filosofica che sosteneva l’importanza delle prove storiche per apprendere le verità economiche e formulare teorie. La sua dottrina si poneva in contrasto con la scuola, allora emergente, austriaca che sosteneva, invece, che i dati storici sono solo illustrativi dei comportamenti degli esseri umani e che non si può fare affidamento solo su di essi. È interessante notare come sia stata la “scuola tedesca” ad affibbiare il nome “economisti austriaci” a coloro che seguivano le idee di Menger. Il termine, che inizialmente aveva una connotazione negativa, è stato infine adottato dagli stessi economisti “austriaci”.

Contributi degli economisti austriaci

Quando i calcolatori e i computer non erano ancora disponibili, gli economisti si trovavano ad affrontare molte limitazioni nel condurre analisi quantitative. Effettuare procedure come analisi di regressione a mano può essere estremamente lungo e macchinoso, e dover ricercare dati economici storici in libri e pubblicazioni nelle biblioteche richiede molto più tempo che, semplicemente, scaricare set di dati da Internet. Non dovrebbe sorprendere quindi, che le teorie e i metodi della scuola austriaca, che non si affidavano sempre sull’evidenza empirica, fossero maggiormente accettati dagli economisti del passato, dato che riflettevano gli approcci più popolari di quel tempo.

In effetti gli economisti austriaci hanno contribuito notevolmente alle teorie e alle idee di ciò che viene considerato “ortodossia” al giorno d’oggi. Ad esempio, si ritiene che siano state le idee austriache ad aver innescato la cosiddetta “rivoluzione marginalista” dell’economia che è avvenuta alla fine del 1800 e che ha introdotto i concetti, ora diffusi e popolari in economia, di “analisi marginale” e del “ragionare sui margini”.

Ad esempio al “padre dell’economia austriaca” stesso, ovvero Carl Menger, viene dato credito per l’introduzione, insieme al famoso economista Léon Walras, dell’analisi marginale. La rivoluzione marginalista ha introdotto concetti come la teoria dell’utilità marginale per la prima volta. Queste teorie sostengono che gli agenti economici prendono decisioni basate sui consumi della “prossima unità”, mentre pesano i costi e i benefici di ogni azione che intraprendono. Vari concetti economici chiave, come i rendimenti marginali decrescenti sono stati introdotti in questo periodo e vengono ora comunemente accettati e insegnati nei corsi di economia odierni.

Il costo opportunità è un altro esempio di una teoria economica che è stata introdotta da un economista austriaco e viene attribuita a Friedrich von Wieser, un economista austriaco che ha formulato questa idea alla fine del diciannovesimo secolo.

È innegabile, quindi, che gli economisti austriaci del passato hanno contribuito allo sviluppo dell’economia odierna. Con la vincita del premio Nobel per l’economia del 1974 da parte di Friedrich Hayek, la scuola austriaca ha ottenuto, anche se per poco, una nuova legittimità. Tuttavia, anche in quel periodo, continuava ad essere considerata eterodossa dalla maggior parte degli economisti professionisti 

Con il passare del tempo e con l’aumento dell’importanza di matematica, statistica ed econometria in economia, la maggior parte degli economisti sono giunti alla conclusione che l’analisi quantitativa dei dati empirici sia uno strumento fondamentale per comprendere l’economia. Di conseguenza l’economia austriaca è ora considerata per lo più eterodossa, a causa di quella che gli altri economisti definiscono “mancanza di rigore empirico”. Ovviamente alcuni economisti austriaci utilizzano anche loro dei metodi empirici, ribattendo quindi a queste critiche con i fatti, tuttavia la scuola, in generale, utilizza meno le prove empiriche di quanto viene atteso e auspicato dagli economisti moderni.

Le accuse vengono da entrambe le parti, comunque. Gli economisti austriaci hanno spesso mosso critiche contro gli economisti tradizionali. Secondo alcuni economisti austriaci, le scuole economiche ortodosse non tengono conto delle conseguenze indesiderate delle politiche economiche e delle scelte individuali. Altri economisti della stessa scuola sostengono che un’eccessiva enfasi sul rigore quantitativo ha fatto perdere alla moderna economia il contatto con la realtà.

Divisive scholarly argument.

Image credit: master1305 on Freepik.com.

 Anche se non è corretto “gettare via il bambino insieme all’acqua sporca” quando si parla di metodi quantitativi in economia, alcune di queste critiche hanno merito. Talvolta l’economia tradizionale viene criticata da vari soggetti per non essere in grado di vedere il quadro generale e di perdersi in una serie di dati ed equazioni. Un esempio di tutto questo è stata la crisi finanziaria del 2008 che ha innescato una depressione globale. Pochissimi economisti avevano previsto questa crisi o avevano avvertito delle debolezze del sistema finanziario globale.

La mancanza di una visione globale aveva, secondo molti, prodotto l’incapacità, per gli economisti, di prevenire questa catastrofe globale. Tutto questo illustra bene come gli economisti non dovrebbero essere così assorbiti dall’analisi dei dati e dall’empirismo da perdere la visione del quadro generale, anche se, ovviamente, i dati e le analisi empiriche rimangono strumenti importanti se utilizzati correttamente. In definitiva, altri fattori (come l’avidità delle imprese e normative lassiste) sono stati senz’altro molto più importanti nell’innescare la crisi, piuttosto che la mancanza di avvertimenti da parte degli economisti sullo stato dell’economia, anche se questo è un compito che senza dubbio spetta pienamente ad essi.

Il legame tra estrema destra ed economia austriaca

Indipendentemente dalle posizioni ideologiche, i lettori devono analizzare le loro teorie e prove in modo critico quando si trovano ad aver a che fare, nel mondo attuale, con i cosiddetti economisti austriaci.

Sfortunatamente, l’approccio austriaco incentrato sugli esperimenti e la sottovalutazione del rigore quantitativo, insieme a una diversa definizione del termine “economia”, ha fatto sì che questa scuola diventasse uno strumento ideologico per attori non in buona fede. Questi elementi di base della scuola abbassano la barriera d'ingresso per gli individui che non hanno studiato economia (in modo che possano sentirsi anche loro economisti competenti), e questo ha permesso a gruppi criticabili, compresi gli ideologi di estrema destra, di rivolgersi in massa all'“economia austriaca” come mezzo per mascherare le proprie ideologie piene di odio come semplici “teorie economiche”.

Le teorie economiche austriache favoriscono fortemente il libero mercato non regolamentato e sono contrarie a quasi tutte le forme di intervento pubblico. Questo tende ad attrarre soggetti politici che appartengono alle aree libertarie, anarchiche, o dell’estrema destra, che poi promuovono le teorie della scuola austriaca come fatti assoluti, e le utilizzano per corroborare le proprie agende politiche senza che in realtà siano supportate da dati reali.

Inoltre le ridotte barriere d’ingresso richieste dalla scuola austriaca incoraggiano la proliferazione dei cosiddetti “economisti da poltrona”. Questo si inserisce in un quadro che vede un calo generale nella fiducia negli esperti, fenomeno che ha interessato tutte le classi della società nel ventunesimo secolo. È più semplice, anche per individui con una visione moderata della società, leggere quanto scritto dagli “economisti austriaci” e considerare le loro idee come verità assolute, piuttosto che dover affrontare dettagliati studi economici che utilizzano metodi quantitativi basati su basi empiriche certe, o conseguire una laurea in economia e imparare le complessità che sono alla base delle ricerche economiche anche su concetti che potrebbero sembrare inizialmente banali, come gli effetti del salario minimo.

Questi individui potrebbero considerarsi come essere allo stesso livello degli economisti “professionisti” e persino scrivere articoli “economici” senza avere avuto una formazione formale, finendo per ripetere le idee dell’estrema destra sostenendole come verità assolute.

Ad esempio persone dalle idee razziste potrebbero utilizzare uno dei capisaldi della scuola austriaca, ovvero il non interventismo da parte dei governi, per promuovere l’idea che le azioni affermative, o qualsiasi altra politica che sostiene gli interessi delle minoranze, sia sempre distruttiva e non debba mai essere attuata. In modo simile, i programmi governativi di supporto e aiuto, come quelli attuati per ridurre la povertà, sostenere i veterani delle forze armate in pensione, ecc. sono considerati uno spreco e una perdita netta per la società nel suo complesso.

Questa visione si evolve spesso in idee di estrema destra che conducono poi a posizioni razziste, ultra-conservative o anti-immigrati. Ad esempio gli ideologi dell’estrema destra possono partire dalle azioni affermative e dalle politiche di supporto governativo e applicare una logica sbagliata per affermare che in realtà queste politiche costituiscono solo una discriminazione contro le persone bianche, indicarle come moralmente inaccettabili e alimentare la fiamma della rabbia razzista; tutto questo mentre si nascondono dietro la pretesa di analizzare la società dal punto di vista di un “economista” imparziale.

Crowd protesting.

Image credit: Freepik.com.

 A volte questi soggetti possono utilizzare le posizioni della scuola austriaca per denunciare il lavoro degli economisti professionisti, delle banche centrali e dei governi. Parte di questi economisti “da poltrona” potrebbero completamente ignorare o considerare scorretti i risultati e le conclusioni degli economisti professionisti. Occorre sempre prestare la massima attenzione a questi fenomeni e analizzare le prove, le ricerche e quanto viene insegnato nel filone delle posizioni austriache per determinare se tutto questo è basato su legittime teorie economiche o meno.

Prestare attenzione alle critiche agli economisti fatte in cattiva fede 

Che abbiano un proprio obiettivo politico o meno, alcuni economisti austriaci moderni screditano e denigrano l’intero campo dell’economia. L’etichetta di “economista” fornisce un senso di legittimità a questi soggetti, rinforzato dagli articoli dei cosiddetti “economisti austriaci” che potrebbero muovere critiche solo allo scopo di promuovere un’agenda personale.

Spesso gli articoli provengono da autoproclamati tink tank austriaci o da oltre organizzazioni ideologizzate. Un chiaro esempio di questo è l’articolo di Jonathan Newman per il Mises Institute. Nell’articolo pubblicato a marzo 2024, intitolato “Economics Needs a New Methodenstreit Based on Austrian Methodology” (All’economia occorre un nuovo Methodenstreit basato sulla metodologia austriaca”) Newman critica pesantemente l’economia tradizionale (“Anche solo uno sguardo veloce a quello che passa per dottrina economica nelle pubblicazioni attuali fa comprendere che gli errori metodologici evidenziati da Menger e Mises continuano”).

Uno degli assunti alla base dell’articolo di Newman è che gli interventi statali sono sempre indesiderabili, con la conseguenza che gli articoli dell’American Economic Review sono, necessariamente, di parte dato che concludono che in alcuni casi i programmi di intervento governativo hanno prodotto risultati positivi. Il suo articolo mostra anche il disprezzo per i metodi econometrici, tratto comune nei discorsi degli economisti austriaci moderni. Il terzo e quarto esempio, presentato da Newman, di ricerche economiche non effettuate nel modo giusto è semplicemente un riassunto di una metodologia econometrica e uno screenshot che mostra varie equazioni. Queste “prove” dovrebbero dimostrare l’inutilità degli articoli dell’American Economic Review.

Un altro esempio, più dettagliato, è il libro di Henry Hazlitt, pubblicato nel 1946 intitolato Economics in One Lesson3. Questo libro viene continuamente citato, acclamato e letto dagli economisti austriaci moderni. Purtroppo, questo libro contiene affermazioni fatte in malafede il cui unico obiettivo è quello di screditare gli economisti professionisti propugnando la scuola di pensiero austriaca come un’alternativa chiaramente superiore. Le citazioni che riportiamo di seguito sono prese direttamente da questo libro.

“…L’intera economia può essere ridotta a una sola lezione e questa lezione può essere a sua volta ridotta a una sola affermazione. Il fondamento dell’economia consiste nel non guardare agli effetti immediati, ma sul concentrarsi sugli effetti a lungo termine di qualsiasi politica o iniziativa; consiste nell’esaminarne le conseguenze non solo per un gruppo, ma per tutti gli attori della società…Il 90% degli errori e delle falsità che creano così tanti danni e problemi nel mondo moderno derivano dall’ignorare questa lezione”. (pagina 5)

Con questa affermazione Hazlitt cerca di ridurre l’intera complessità del campo economico a una singola frase, e sostiene che gli economisti trascurano continuamente di valutare gli effetti a lungo termine delle politiche che supportano.

“Tuttavia, al giorno d’oggi, sempre meno persone fanno questo errore e coloro che continuano a farlo sono, per lo più, economisti professionisti. L'errore di gran lunga più frequente oggi, che emerge spessissimo in quasi tutte le conversazioni che riguardano l'economia... il sofisma stesso della "nuova" economia, è quello di concentrarsi sugli effetti di breve periodo delle politiche su gruppi particolari e di ignorare o sminuire gli effetti di lungo periodo sulla comunità nel suo complesso" (pagina 5).

Questa affermazione si rivolge direttamente agli "economisti professionisti" considerandoli persone che non tengono conto degli effetti a lungo termine delle loro raccomandazioni politiche, compiendo un errore che altre persone, invece, non commetterebbero.

“Un errore elementare. Chiunque, onestamente, sarebbe in grado di evitarlo anche solo dopo pochi attimi di riflessione. Eppure l'errore delle finestre rotte, travestito in centinaia di modi diversi, è il più persistente nella storia dell'economia... Viene solennemente riaffermato ogni giorno dai capitani d'industria... da famosi statistici che utilizzano le tecniche più raffinate, da professori di economia nelle nostre migliori università. Tutti, a vario titolo, si dilungano sui vantaggi della distruzione... vedono benefici quasi infiniti in enormi atti di distruzione. Ci dicono che, economicamente, stiamo tutti meglio in guerra che in pace”. (pagina 13)

Questa frase di Hazlitt è la sintesi ultima di un capitolo che presenta, in modo assolutamente scorretto, gli economisti come professionisti che celebrano la distruzione. Hazlitt determina, correttamente, che la distruzione non è positiva, e che anzi comporta uno spreco di risorse, con il denaro che deve essere destinato alla ricostruzione invece che utilizzato per altre cose. Tuttavia, afferma che gli economisti professionisti non supportano quanto afferma.

“L'analisi delle nostre scoperte ci ha insegnato un'altra lezione. Quando studiamo gli effetti di varie proposte... le conclusioni a cui arriviamo di solito corrispondono a quelle a cui si potrebbe arrivare utilizzando il comune buon senso” (pagina 177)

Questa frase del libro di Hazlitt ribadisce l'idea che le conclusioni economiche corrette “corrispondono a quelle del buon senso comune”. È chiaramente riduttiva ed è una critica all’intero campo dell'economia.

Il libro è pieno di affermazioni audaci sull'inettitudine degli economisti professionisti. Questo tipo di linguaggio così aggressivo indica chiaramente come quanto scritto non sia stato fatto avendo una piena comprensione dell'economia, dei suoi obiettivi e del suo ruolo nel processo decisionale. Né, chiaramente, che è stato scritto in buona fede o in modo imparziale. Dovrebbe essere chiaro a tutti che questo tipo di critiche, piene di emotività, all'economia tradizionale contengono spesso affermazioni false e grossolane generalizzazioni su come gli economisti ragionano, su cosa consigliano e su come fanno ricerca.

Credere che buona parte degli economisti professionisti che lavorano in tutto il mondo non siano disposti o non siano in grado di considerare le conseguenze delle politiche che ricercano, sostengono o criticano, significa nel migliore dei casi ritenere che siano privi di una visione seria, e costituisce nulla più di un insulto alla professione.

Queste affermazioni sono state fatte da un autodefinito “economista austriaco” che non aveva mai studiato economia. L'autore del libro, Henry Hazlitt, era un giornalista che scriveva per le sezioni economiche e finanziarie di varie pubblicazioni. Ciononostante, i suoi scritti vengono spesso citati dagli attuali “economisti austriaci” e presentati come fatti indiscutibili.

In sintesi: l’eredità e gli errori degli economisti austriaci

Riassumendo: i lettori dovrebbero prestare la massima attenzione quando si trovano ad avere a che fare con persone che si definiscono economisti austriaci. Nel passato questo tipo di economisti ha effettivamente contribuito alle teorie economiche e ha prodotto progressi in questo campo. Tuttavia, gli economisti austriaci sono rimasti ancorati al passato, anche al giorno d’oggi, al punto che non sono più considerati “canonici”, e preferiscono rimanere fedeli agli esperimenti mentali rifuggendo dalla ricerca empirica che l'economia ha abbracciato. Inoltre, l'etichetta “economia austriaca” viene spesso applicata a posizioni politiche in malafede o dannose, per conferire loro un'aria di legittimità che potrebbe risultare credibile per un cittadino medio non abbastanza informato.

La migliore eredità dell'economia austriaca è la teorizzazione rigorosa che ha dato origine a concetti come l'analisi marginale e il costo opportunità, e lo studio di Friedrich Hayek, vincitore del premio Nobel, sulla moneta e le fluttuazioni economiche. Ciò detto, i lettori devono diffidare degli opinionisti ultra-conservatori e anti-esperti e dei sedicenti economisti che utilizzano questa etichetta per promuovere le proprie idee, spesso controverse e politicamente estreme, senza che vi siano prove a sostegno di esse.

Riferimenti

1: Yeager, Leland B. (1997). "Austrian Economics, Neoclassicism, and the Market Test". Journal of Economic Perspectives. 11 (4): 153–165.

2: Samuelson, Paul A. (September 1964). "Theory and Realism: A Reply". The American Economic Review. American Economic Association: 736–739.

3: Hazlitt, H. (1946). Economics in One Lesson. Harper & Brothers Publishers. Ristampa della prima edizione disponibile qui: https://www.liberalstudies.ca/wp-content/uploads/2014/11/Economics-in-One-Lesson_2.pdf.

Credito di immagine: uso equo dell’immagine di Friedrich Hayek tratta da Wikipedia all’indirizzo https://en.wikipedia.org/wiki/File:Friedrich_Hayek_portrait.jpg.

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